Penso che Il paradiso degli orchi di Pennac sia stata una delle mie prime letture post adolescenziali. Penso che il suo concetto di “capro espiatorio” più tardi mi abbia illuminata, in un momento in cui tutti mi guardavano e mi dicevano “a lettere? che ti iscrivi a fare, futura disoccupata?” Ecco, c’era qualcuno a cui – lavorativamente parlando – poteva andare peggio. E restava comunque un gran figo, il signor Malaussène.
Penso che Tiziano Scarpa mi abbia fatto conoscere Venezia come pochi altri, con poche, semplicissime parole in poche preziose pagine. E penso che Stabat mater sia una bella favola, da leggere in una manciata di ore, che mi ha lasciato quel profumo che ti si attacca addosso e non si scolla per qualche giorno. E alla fine della fiera penso che, lo Strega, tutto sommato sia meglio berselo piuttosto che fare tante polemiche.
Non so invece cosa pensare di madame Frédérique Audouin-Rouzeau perché non la conosco. Quello che invece penso di Fred Vargas è che sia una fantastica autrice di romanzi gialli che mi hanno tenuta sveglia la notte, accompagnata in tante ore sul treno, in vacanza, a letto.
E questo è ciò che penso – e che continuerò a pensare – dei tanti altri che con me sono arrivati fin qui, e che ci saranno in futuro. Lo spietato inquisitore Eymerich di Valerio Evangelisti. Il bellissimo mostro di Arrivederci amore, ciao di Massimo Carlotto. Il Cinquecento in Q di Luther Blissett (Wu Ming).
Qualcuno oggi dice che questi libri dovremmo toglierli dai nostri scaffali. Qualche tempo fa, avrebbero detto: bruciateli.
Qualcun altro ha ripensato ad avvenimenti della storia che non si possono dimenticare, anche se si vorrebbe. A me viene in mente Fahrenheit 451. Nel romanzo di Bradbury la salvezza stava nella testa delle persone, nella loro capacità di memorizzare. Ma oggi imparare a memoria le cose – tanto meno le parole, anche solo una poesia – non va più di moda. Non si insegna nemmeno più. Risultato: niente salvezza.
Eppure, i restauratori dicono che la carta, quando brucia, lascia comunque qualcosa in quello che resta. Che nella cenere si possono trovare ancora informazioni, seppur piccole e minime. Mi sembra di vedere Guglielmo che cerca affannosamente qualche resto di libro tra le ceneri dell’abbazia, nelle ultime pagine del Nome della rosa. Chissà come si incazzerebbe, oggi.
Forse nemmeno poi tanto: probabilmente prenderebbe un altro libro dallo scaffale e continuerebbe a fare quello che ha sempre fatto. Leggere.
Esattamente quello che farò anch’io.
Non smetterò di amare le opere di d’Annunzio per la sua impresa di Fiume. Come non smetterò di leggere Leopardi perché oggi qualcuno potrebbe definirlo un disadattato sociale con la gobba. Semplicemente, le loro opere mi emozionano: e non smetteranno di farlo mai.
Libri. Romanzi. Letteratura insomma, o narrativa contemporanea che dir si voglia. Pagine, parole. Cultura. Tra le poche cose che oggi ci rimangono per andare contro – a modo nostro, nel nostro piccolo – alla sporcizia che ci sta intorno. Alle difficoltà di ogni giorno, al vuoto della precarietà, dell’insoddisfazione. Un piccolo modo per dire sono diverso, per protestare silenziosamente, o urlare a gran voce io sono libero di sapere, di conoscere e soprattutto di pensare.
Libri. Romanzi. Letteratura insomma, o narrativa contemporanea che dir si voglia. Pagine, parole. Cultura. Tra le poche cose che oggi ci rimangono per andare contro – a modo nostro, nel nostro piccolo – alla sporcizia che ci sta intorno. Alle difficoltà di ogni giorno, al vuoto della precarietà, dell’insoddisfazione. Un piccolo modo per dire sono diverso, per protestare silenziosamente, o urlare a gran voce io sono libero di sapere, di conoscere e soprattutto di pensare.
Libero di leggere.
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