Quello che mi fa più incazzare è averlo saputo solo oggi, aprendo come ogni sabato TTL della Stampa. Io, che vivo di riviste, di telegiornali. Di libri. Che i suoi, da quando l’ho scoperto, non hanno mai smesso di farmi ridere, sorridere. Sognare, anche.
L’onirico Orengo. Il tagliente Orengo. Che si divertiva davvero scrivendo. Che aveva fatto della semplicità una forza. Dell’ironia un marchio di fabbrica. Di un’acciuga poesia.
E allora penso, la mancanza è mia, certo. Il sabato in cui te ne sei andato, ero impegnata al solito corso tutto il giorno. Alla sera una cena veloce, poi a letto distrutta. Domenica però ne sono certa: i telegiornali li ho visti. Forse li ho visti male. Forse erano quelli sbagliati. Il dubbio mi resta, e non lo risolverò probabilmente mai.
Quello che invece so di sicuro, è che vivo in un paese in cui la letteratura, la cultura, contano quanto un rotolo di carta igienica finito. Valgono meno delle cazzate in politica, delle puttanate dei corona, di angeliche noemi di bianco vestite. Di gente che prende il sole nuda nella villa del premier di turno. Di mogli sedotte e abbandonate. E via così, in un interminabile elenco.
Non compero, per principio, il quotidiano della città in cui vivo e lavoro. Ma so che in questo momento hanno deciso, e non per problemi finanziari – anzi – di togliere di mezzo un consistente numero dei giornalisti. E anche di dar vita ad un restyling che decurterà – guarda caso – proprio le pagine della cosiddetta cultura. Ah, viene da chiedersi, perché prima c’erano?
Mi domando che cosa ci faccio qui. Anzi, che cosa ci facciamo qui, perché sono certa che in questa barchetta vecchia e mezza diroccata siamo davvero in tanti. A lottare per avere un lavoro in mezzo ai libri. Ai quadri di un museo. Alle scartoffie di un archivio. Ai monumenti di una città. Che ci arrabattiamo fra contratti da fame pur di fare quello che amiamo, per cui abbiamo studiato una vita. Che scriviamo per un nulla, che pubblichiamo il nostro sudore anche se la firma alla fine è di qualcun altro. Che apriamo blog per riuscire a dire comunque la nostra, e conoscere chi come noi vive le stesse identiche cose. Mi chiedo davvero, cosa diavolo sto facendo.
E mi rispondo così. Non potrei fare diversamente. Questo è quello che sono, questo è quello che continuerò ad essere, nel bene e nel male. Se avessimo scelto una via più semplice – posto che oggi esista – saremmo più felici?
Io la mia risposta l’ho già data.
…e quello che mi fa veramente incazzare, è che tu te ne sia andato in questo modo, improvvisamente, e troppo presto. E’ che mi facevi ridere, e sognare. E allora ti ricordo così, ripensando agli ultimi tuoi libri letti. Di viole e liquirizia. La guerra del basilico. La curva del latte. Libri che hanno curato le smorfie dell’anima e qualche tristezza di troppo.
E poi, soprattutto loro. I tuoi indimenticabili fulmini a ciel sereno. Pieni di ironia, di irriverenza. Di coraggio.
E’ proprio questo che rimarrai, sempre.
Un piccolo grande fulmine.
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