Accidenti, devo proprio uccidere qualcuno… ma chi?

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 Amélie Nothomb, Il delitto del conte Neville, Roma, Voland, 2016
I libri di Amélie Nothomb hanno un solo problema: finiscono troppo presto.
Finiscono troppo presto come tutte quelle cose piacevoli che neanche il tempo di iniziarle e… zac! già andate.
I libri di Amélie Nothomb sono come la festa di fine anno scolastico che aspetti per nove mesi sognando di rivedere il ragazzo della seconda B scientifico che ti piace tanto e passi settimane a decidere cosa metterti e che lucidalabbra usare e poi… zac! tuo padre arriva già a prenderti.
I libri di Amélie Nothomb sono come il nuovo disco del tuo gruppo preferito che ti sembra di averlo appena inserito nel lettore cd e poi… zac! è già arrivato all’ultima canzone. E non c’è neanche una bonus track.

Io Amélie la adoro. Adoro come scrive, adoro la sua delicata ironia, adoro il suo particolarissimo punto di vista, adoro le sue storie che non mancano mai di essere originali, di meravigliare. Adoro i suoi personaggi pazzi che sembrano sempre così distanti dalla mia realtà eppure, ogni volta, ritrovo una parte di me in qualcuno di loro.
E così è stato, immancabilmente, anche con Il delitto del conte Neville. Un titolo che mi avrebbe acchiappata anche se non fosse stato un romanzo di Amélie Nothomb, e che da romanzo di Amélie Nothomb non mi sembrava proprio. Ma lei è così: nata per scrivere e stupire.  E fare il verso, in un suo modo tutto unico, a Oscar Wilde.
La trama di questa favola dark e magica è molto semplice, forse una delle più lineari. C’è un antico castello. C’è un ricevimento da dare. C’è Sérieuse, una bizzarra ragazza che, da bambina brillante e vivacissima, negli ultimi anni è diventata improvvisamente cupa e sociopatica. C’è una specie di maga che farà, non richiesta, una terrificante previsione. E naturalmente c’è lui, il conte Neville, che DEVE uccidere una persona. A tutti i costi. Perché? Leggetelo, e come me vi chiederete per 90 pagine dove andrà a parare e come finirà. Perché i finali della Nothomb non possono essere banali né scontati. Mai.
Però, ecco, Amélie. Tu pubblichi un libro l’anno e mi accompagni per una giornata, qualche misera ora. Accontentami, la prossima volta, regalami qualche pagina in più. Fallo per una tua fedele fan che un po’ di tempo fa, quando ancora non sapeva come fare le foto col telefono (vedere immagine che segue per credere), ti ha incontrata, ti ha visto – pelle di porcellana e rossetto rosso – scolarti quasi interamente una bottiglia del tuo champagne preferito armata di un accento meraviglioso, di un cappello a cilindro e di una dolcezza disarmante. Se la prossima volta mi regali qualche pagina in più, lo champagne te lo faccio recapitare io. Promesso!

 

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