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Per Umberto Eco (1932-2016)
Tu sei il primo a cui penso quando mi chiedono la lista dei dieci libri della mia vita
 
Il nome della rosa: edizione Fabbri, copertina rigida rossa, caratteri dorati.
E quel film. Avrò avuto forse dieci anni, di certo non capii bene tutto, eppure provai così tanta ansia mista a stupore che mi ripromisi di leggerti quanto prima. Naturalmente ero troppo piccola per riuscire a farlo come si deve, e poco dopo sarei stata travolta dall’Età della Stupidità. L’E.d.S., che nel mio caso si aggirò intorno ai 13-16 anni, era fatta di baci che non avevo ancora dato, brutti voti in matematica che non riuscivo proprio a farmi piacere e soprattutto molta preoccupazione per i jeans Levi’s che mi stavano sempre troppo larghi. Quindi difficilmente avrei messo il naso fra pagine che raccontavano una storia così lontana da me e dalle mie lacrime adolescenziali. In compenso Gianmaria, il mio unico compagno di classe maschio – ne avevo anche un altro, ma si era fatto sospendere per una storia cretina e subito dopo ha cambiato istituto – ci passava le ore a leggerti, nascondendo il libro sotto il banco. Io non capivo (ricordiamoci che dovevo ancora uscire definitivamente dall’E.d.S.) e mi chiedevo cosa potessi avere di tanto speciale. Così speciale che Gianmaria non si limitava solo a leggerti, ma ti leggeva e rileggeva e rileggeva ancora senza soluzione di continuità – e stiamo parlando di un mattone di 500 pagine. Un giorno arrivò a scuola con Il signore degli Anelli: disse che avrebbe tentato di rimpiazzarti. Non so poi se ci sia davvero riuscito (secondo me no).
 
Ad ogni modo, fu solo qualche anno dopo che decisi di iniziare. Ricordo che era estate e faceva un caldo asfissiante. Io ero in giardino, all’ombra di un albero da frutto, forse un pesco – è stato poco prima che Oreste, il coniglio nano, lo scuoiasse a morsi. Non riuscii più a staccarmi dalle tue pagine, lo sguardo pieno di meraviglia, armata di matita e blocco per gli appunti – le cose che nella mia beata ignoranza non sapevo erano troppe e avevo bisogno di ritornarci sopra con calma. Penso sempre che dovrei rileggerti, perché sembra ieri ma in realtà è già passato troppo tempo e i ricordi sbiadiscono. Ma so perfettamente cosa mi sono detta dopo avere chiuso il libro. Che non ce ne sarebbe stato mai uno di uguale. Ed è proprio così.
 
Ricordo il tuo Pendolo di Foucault che girava per casa. Ricordo la Bustina di Minerva da aprire e rileggere mille volte. Ricordo mia madre che tornava a casa e tirava fuori dalla borsa L’isola del giorno prima. Ricordo Baudolino che staziona nella mia libreria ma ancora non ho letto. Ricordo il Cimitero di Praga che leggevo mentre inalavo aerosol al cortisone per curare la polmonite. Ricordo la delusione che provai leggendo Numero zero, ma del resto anche gli amici migliori ogni tanto ti deludono, no?
 
Se l’avere scritto una discreta tesi di laurea lo devo anche a te – e come me una buona fetta di studenti universitari –, è stata la regina Loana ad aprirmi gli occhi e il cuore su quella che sarebbe diventata una delle mie più grandi passioni, e poi una professione. Sognavo di essere Sibilla e di lavorare in uno studio bibliografico, a compilare schede fra tomi preziosi di secoli fa. In quel periodo ti scrissi una lettera, che poi però non spedii. Non ero una persona particolarmente coraggiosa (ci sto lavorando). Poi, le cose in parte andarono come sognavo, in parte no, ma va bene così. Sono pochi i libri che riescono a parlarti in questo modo, a suggerirti un’ipotetica strada da percorrere, a indicarti un possibile obiettivo. Tu ne hai scritto uno. Ti sembra poco?
 
Sabato 20 febbraio la sveglia suona alle 7. E mentre con una mano la spengo e con l’altra accendo il cellulare, come faccio ogni mattina, penso alle solite stupidaggini: cosa mi metto-chissà che non piova-i capelli mi staranno da schifo-speriamo il treno sia puntuale-tè o caffè? E di certo non immagino di leggere una notizia tanto triste. Non sono preparata, non lo siamo mai per certe cose. Non posso crederci, continuo a ripetermi, il che è stupido perché si chiama vita e va così. Subito dopo, una cara amica mi scrive queste parole, che mi sono parse perfette pur nella loro amarezza: “Mi rendo conto solo adesso che finora ho sempre associato a persone come Eco la sicurezza che ci fossero dei guardiani della cultura in Italia per cui il fondo non l’avremmo mai potuto toccare. E invece… Questa notizia mi fa vacillare un bel po’”. Ecco, a te, alla mia amica, a chi mi sta intorno e a me stessa prometto questo: che non mi permetterò di vacillare. Non mi permetterò di essere pessimista. Ma, nel mio piccolissimo universo, farò quanto posso affinché la cultura in Italia resista anche con un “guardiano” in meno e quel maledetto fondo non si possa toccare.
 
Ormai da più di dieci anni vivo anche per questo. Ci sbatto la testa ogni giorno, anche quando mi sembra di avere poche forze, anche quando capisco che io posso arrivare solo fino a un certo punto. Ma ci provo, insistendo, con tenacia, quotidianamente. Ci provo entrando in libreria. Ci provo continuando a leggere e a raccontarne la bellezza. Ci provo impegnandomi a studiare, a formarmi. Ci provo continuando a essere curiosa di tutto. Ci provo lavorando perché le biblioteche restino un punto fermo, solido, un luogo fondamentale per la società. Ci provo cercando di scrivere, di parlare, di comunicare correttamente perché non siamo isole, dannazione, ed è solo comunicando correttamente che possiamo farci ascoltare, lottare per i nostri diritti, per una giusta causa, per un lavoro, per un futuro, per noi stessi e per chi ci sta a cuore.
 
Ci provo scrivendo queste parole, anche se un po’ disordinate.
 
Mi piace pensare che se la regina Loana non fosse entrata nella mia vita forse adesso non sarei quella che sono, non farei quello che faccio, non potrei raccontare tutto questo. Ed è un bel pensiero, che mi rassicura, che mi fa sperare. 
Sorrido ripensando a quei momenti di cui tu, inconsapevolmente, sei stato co-protagonista. Quando mi sono iscritta alla prova di ammissione del tuo master in Editoria cartacea e multimediale, pur consapevole che non avevo né i soldi né la possibilità di trasferirmi per due anni a Bologna. Ma era qualcosa che sentivo di voler fare per me, una soddisfazione forse sciocca ma che mi volevo prendere. E quando uscì l’elenco degli ammessi all’orale e vidi il mio nome, provai una gioia insensata ma pura. Ero contenta così.
Oppure quando venni ad ascoltare la tua lectio magistralis all’apertura della Mostra internazionale del libro antico. Da giorni stavo male, ma ci tenevo troppo e così c’ero (con la faccia verde, ma c’ero). E quando il mio stomaco minacciò di nuovo guerra, come una furia raggiunsi il bagno calpestando non so quante incazzatissime persone. E mentre mi aggrappavo al lavandino non riuscivo a smettere di pensare: “Porca puttana Marta! Di là c’è Umberto Eco e tu sei qui a parlare con il water”. 

Mi hai insegnato una delle cose più importanti: a non essere una lettrice snob. Forse è anche per questo che leggere continua a divertirmi così tanto.

Ti ho incontrato più volte, ma ne ricordo soprattutto una: arrivi con il tuo bastone, mi stringi la mano, ti siedi e inizi a parlare di libri antichi, con la tua garbata ironia. Io ti ascolto, o forse no: ero emozionata, ad averti a meno di un metro. Una persona gentile lì con me ti chiede se puoi regalarmi un tuo autografo – che io mai avrei trovato coraggio di chiedertelo. Parte una frenetica ricerca di un pezzo di carta bianco, che ovviamente non troviamo. Ma alla fine eccoti lì: da anni insieme ai miei libri.

È un bel posto, non credi? Il posto dove resterai per sempre. Nei libri.
 


I libri di cui ho raccontato sono:
Il nome della rosa, Bompiani, 1980 [la mia edizione è Fabbri, La grande biblioteca, 1996]
L’isola del giorno prima, Bompiani, 1994
Il pendolo di Foucault, Bompiani, 1988
Baudolino, Bompiani, 2000
La misteriosa fiamma della regina Loana, Bompiani, 2004
Il cimitero di Praga, Bompiani, 2010
Numero zero, Bompiani, 2015
La bustina di Minerva, Bompiani, 2000
Come si fa una tesi di laurea, Bompiani, 1977

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