La cultura è concreta!

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Voglio raccontarvi una storia.

Questo è un post diverso dagli altri. Non parlerò semplicemente di libri, con la leggerezza che vuole contraddistinguere il blog. Parlerò di quell’universo chiamato cultura, troppe volte bistrattato e dimenticato.

Premessa.
Sono vicentina, ma quanto segue potrebbe accadere in qualsiasi città d’Italia (purtroppo). 
Queste le parole del giornalista di un Tg locale, da cui è nata la mia riflessione: «Chiudiamo la pagina della cultura e passiamo a qualcosa di più concreto
Questo il post da me pubblicato su Facebook:
Già, perché la cultura non è concreta.

Questo paese potrebbe campare di cultura, se lo volesse. Potrebbe alzarsi e guardare il mondo a testa alta. Considerata la spettacolare eredità culturale che abbiamo, potremmo vivere di rendita: ma noi la lasciamo cadere a pezzi. 

Grazie, per l’ennesima dimostrazione – come se ce ne fosse bisogno – di quanto la cultura conti in questa Italia nella quale mi ostino a vivere, nonostante tutto, lottando perché le cose cambino. E poi arrivi tu, e in tre secondi distruggi la fatica mia e di tante altre persone.

Dimenticando che la cultura, a lungo andare, sarà fra le poche cose a restare davvero. Anche sotto cumuli di polvere. Anche se “non è concreta”.

Quella che segue, invece, è la lettera che ho scritto al direttore del suddetto telegiornale. Forse non avrò mai una risposta, forse nessuno la leggerà. Ma almeno la mia coscienza è apposto. Perché, quella sì, è concreta. E mi ricorda ogni giorno chi sono e quello che faccio.
Ieri sera il vostro giornalista, dopo un servizio sulla stagione teatrale, ha chiuso l’argomento dicendo: “passiamo ora a qualcosa di più concreto” (forse non riporto le parole esatte, ma il senso era questo). Probabilmente a lei ciò non dirà nulla, ma le posso confermare che a me e a molte altre persone di mia conoscenza, la maniera in cui è stata chiusa la pagina culturale ha profondamente colpito.

Implicitamente, la cultura è stata definita un fatto “non concreto”. E certo, lo saranno molto di più i problemi di urbanistica cittadina, le quisquiglie quotidiane in comune, i furti e il problema delle case chiuse, non lo metto in dubbio. Ma che nel telegiornale di fascia preserale, visto da moltissimi concittadini, passi il concetto che la cultura non è concreta, e di conseguenza ci siano molti altri argomenti più importanti di cui parlare, non è positivo.

Le racconto tutto questo perché per otto anni ho lavorato “dentro” la cultura di Vicenza, forse nel posto più bello e anche più difficile: la Biblioteca civica Bertoliana, occupandomi di materiale splendido come libri e documenti antichi, manoscritti, fotografie e incisioni. Come lei certo saprà, questa istituzione non sta vivendo un momento molto felice, tanto che da gennaio di quest’anno sono stata costretta a trovare lavoro altrove. Se penso al patrimonio sconfinato e importantissimo che questa biblioteca raccoglie, e che molti (troppi) vicentini nemmeno conoscono, provo una profonda tristezza. Quando ricercatori, studiosi, professori o semplicemente appassionati da tutto il mondo contattano la sede vedendo in internet l’esistenza di documenti che ho contribuito anch’io a catalogare, assieme ad altre persone che purtroppo si ritrovano oggi nella mia stessa situazione, o in condizioni di difficile precariato.
Ma continuo ad abitare e a vivere nella mia Vicenza, a cui sono legata da sempre, con la speranza che qualcosa cambi, che le persone – dai comuni cittadini come me fino a chi ricopre le cariche più alte – possano comprendere l’importanza che la cultura riveste non solo qui, ma in tutto il paese. È una dura lotta quotidiana. Vicenza possiede un tesoro di cui nemmeno si rende conto, grazie al quale potrebbe vivere non dico di rendita ma quasi, aprire le porte al mondo, diventare un centro culturale di eccellenza, se solo ci si impegnasse davvero e passasse il concetto che la cultura é concreta (e non mi riferisco semplicemente alle mostre di Goldin, per esempio, ma a quello che a Vicenza già esiste, a quello che la città già possiede e che la rende unica). Perché sarà proprio questo tesoro che rimarrà ai suoi figli e ai suoi nipoti, e durerà nel tempo.
Non vi chiedo di dare maggiore spazio o visibilità alle attività culturali della città, perché mi rendo conto che un telegiornale deve seguire le sue regole, ma vi chiedo di stare più attenti alla terminologia che adoperate, soprattutto in riferimento ad argomenti che già vivono un momento difficile. Perché ciò che viene trasmesso nel vostro telegiornale può e deve essere lo specchio di ciò che accade in tutta Italia.
Mi creda, direttore, non sono queste le semplici fantasie di una ragazza: pensi che è stato mio padre a farmelo notare, un signore di sessant’anni ex infermiere al San Bortolo, e successivamente questa opinione è stata ampiamente condivisa da amici e conoscenti di tutte le età.
La ringrazio per avere letto questa lunga lettera, che voleva essere anche un modo per puntare l’attenzione su una tematica importante per Vicenza, a volte sottovalutata o non considerata come meriterebbe.

Finale. 
Sì, perché un finale c’è stato. Una risposta è arrivata, da parte del diretto interessato. Non la pubblicherò, non ne vale la pena. Sappiate solo che mi è stato risposto – attraverso l’utilizzo di alcune perifrasi – che non sono una giornalista e non posso permettermi, quindi, di dare giudizi. Non solo: gli “io” – “io ho fatto questo, io ho fatto quello, io…” non si contavano. Al decimo ho chiuso. Poteva essere un pretesto per riflettere su qualcosa di importante, su una situazione difficile che sta vivendo una realtà fondamentale per la cittadinanza. Poteva essere uno scambio costruttivo, non lo è stato. Peccato.

Cosa posso dire?
Solo questo. La cultura è concreta. Vi prego: gridiamolo al mondo, in tutti i modi e le lingue possibili.

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