Anche quest’anno ci risiamo (e questa notte è ancora nostra…)

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Ci sono cose che ritornano immancabilmente, sempre nello stesso momento, sempre come nuove.

Un libro. Un film. Una canzone.
Oggi è senza dubbio quella di Venditti. Con quella frase storica, la matematica non sarà mai il mio mestiere. Quante volte l’abbiamo ripetuto, davanti a numeri di cui non coglievamo il senso. Quante volte ci siamo rotti e abbiamo sbattuto via il libro. E diventare grandi per scoprire quanto questa frase sia falsa, persino per me, che faccio un mestiere apparentemente mille miglia lontano.
Poi ci sono loro, i ricordi. Molti tornerebbero indietro. Molti tornerebbero a rivivere quegli anni, calandosi un bel pezzo di vita dalle spalle. Io non ci penso nemmeno. Ma gli esami – che ancora si chiamavano di maturità – forse sono stati il momento più bello. Pazzia?
Una canzone. Un film. Un libro.

Quello che ricordiamo di aver tenuto fra le mani in quei frenetici giorni. Quello che non c’entra niente con gli esami, ma che in qualche modo ce li fa ricordare.
I miei sono questi.

Manzoni, I promessi sposi (conquistata dalla Monaca di Monza al punto di farne la tesina d’esame. Mi sono scartabellata pure gli atti del processo…)

Pirandello, Uno, nessuno e centomila (un colpo di fulmine che dura tutt’ora)

William Blake, Canti dell’esperienza (fantastica The tyger)

Joyce, Dubliners (mi ricordo ancora la domanda all’esame: il significato simbolico degli stivali accanto al letto in The dead…)

Andrea De Carlo, Uto (quello che non c’entra niente, ma che leggevo in quei giorni. Quello che non c’entra niente e che ha un protagonista che si sente non c’entrare niente, esattamente come me a diciotto anni. Quindi uno dei ricordi più belli)

L’unica cosa che mi auguro, memore dell’anno scorso, è che almeno i titoli dei tanto temuti temi siano corretti. Basta figure di donne che in realtà sono uomini, sculture greche che diventano improvvisamente romane, tempi verbali sbagliati, parole mancanti e così via. Non perché siamo un popolo di secchioni, ci mancherebbe. Ma perché ha del ridicolo. Un ridicolo che poi ci si porta dietro per tutta la vita, esattamente come l’insonne notte prima degli esami.

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